Quest’oggi, nella Liturgia, la lettura dal primo libro dei Re Testamento ci presenta la figura del re Salomone, figlio e successore di Davide. Ce lo presenta all’inizio del suo regno, quando era ancora giovanissimo. Salomone ereditò un compito molto impegnativo, e la responsabilità che gravava sulle sue spalle era grande per un giovane sovrano. Il Signore gli apparve in visione notturna e promise di concedergli ciò che avrebbe domandato nella preghiera. Bellissime le parole di Salome “Ecco, sono solo un ragazzo. Non so come devo comportarmi”. E qui si vede la grandezza dell’animo di Salomone: egli non domanda una lunga vita, né ricchezze, né l’eliminazione dei nemici; dice invece al Signore: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1 Re 3,9). E il Signore lo esaudì, così che Salomone divenne celebre in tutto il mondo per la sua saggezza e i suoi retti giudizi.
Egli dunque pregò Dio di concedergli “un cuore docile”. Che cosa significa? Il mio professore di antropologia teologica ci teneva a spiegare che il “cuore” nella Bibbia non indica solo una parte del corpo, che è bene che batta il più tempo possibile prima di fermarsi, ma il centro della persona, la sede delle sue intenzioni e dei suoi giudizi. “Cuore docile” allora significa “un cuore che ascolta”, che è sensibile alla voce della verità, e per questo è capace di discernere il bene dal male. Nel caso di Salomone, la richiesta è motivata dalla responsabilità di guidare una nazione, Israele, il popolo che Dio ha scelto per manifestare al mondo il suo disegno di salvezza. Il re d’Israele, pertanto, deve cercare di essere sempre in sintonia con Dio, in ascolto della sua Parola, per guidare il popolo nelle vie del Signore, la via della giustizia e della pace. Ma l’esempio di Salomone vale per ogni uomo. Ognuno di noi deve avere un “cuore che ascolta” per esercitare la grande dignità umana di agire secondo la retta coscienza operando il bene ed evitando il male. Pensiamo a tutti i tempi, ma a questo tempo in particolare dell’emergenza coronavirus: le persone chiamate a compiti di governo hanno naturalmente una responsabilità ulteriore ed hanno ancora più bisogno dell’aiuto di Dio e della nostra preghiera.
Qualcuno di noi, in particolare i giovani, potrebbero pensare che Salomone o è pazzo oppure ha trovato un tesoro, come quell’uomo che vende tutto, descritto nel brano del Vangelo di Matteo. Le cose che contano valgono nella misura in cui sei disposto a dare via tutto per ottenerle. Ma finché non hai trovato ciò che conta, l’unica cosa che riesci a fare è accumulare tante cose senza valore. Sembra un po’ la storia della nostra vita che, molto spesso, è piena di tante cose, ma non è piena di ciò che conta. Cerchiamo di coprire con la quantità la mancanza di qualità. Così facciamo tante cose appositamente per non pensare. Accumuliamo titoli e riconoscimenti per non ammettere che di fondo ci sentiamo senza valore. Riempiamo le nostre giornate di cose da fare così da non dover mai domandarci chi siamo. Frequentiamo molte persone ma non ne amiamo veramente nessuna. Il cristianesimo invece è un incontro con un fatto che rompe questa logica. La fede è la messa in crisi della quantità per il recupero della qualità. È la scoperta di un tesoro per cui daresti via tutto. È l’incontro con un motivo che ti spinge a non essere più misurato ma coraggioso. È vincere la paura di essere scambiato per pazzo e rimanere fedele a ciò che conta anche quando ciò che conta ti costringe fuori dal coro. La fede è un’esperienza personale, non di massa. Forse è questo quello che Gesù tenta di dire cercando di spiegare cosa sia “il regno dei cieli”. Non è un regno imprendibile, un regno dell’aldilà inteso come un regno del dopo. È semplicemente un regno nascosto che va cercato. Non a caso Gesù usa il verbo trovare. Solo chi cerca trova. La nostra vita spirituale dovrebbe consistere non nell’accumulo compulsivo di cose ed esperienze (catechesi, letture, incontri, ritiri, meeting, riunioni, convegni). La nostra vita spirituale dovrebbe consistere nel cercare lì dove ci troviamo il tesoro nascosto. E questo “cercare” si chiama preghiera. Quindi se è vero che chi cerca trova, allora dovremmo dire più correttamente che “chi prega” trova.