Se abbiamo ascoltato bene le letture di questa quindicesima domenica del tempo ordinario, abbiamo capito perché il Signore, per mezzo del profeta Isaia, ci ha detto che la Sua Parola, che discende dal cielo sulla terra, è paragonabile alla pioggia e alla neve. Quando vediamo che inizia a piovere o a nevicare, noi siamo soliti dire, soprattutto dopo parecchia siccità: “Ce n’era bisogno. Meno male che piove. Speriamo che faccia del bene al terreno”. Cioè, la pioggia e la neve possono scendere oggi, ma se la loro venuta dal cielo è stata efficace, lo capiamo solo quando cresce l’erba buona, quando si vedono i fiori, quando si raccolgono i frutti: sia per la quantità, se sono venuti tanti pomodori, tante zucchine, tanta insalata, sia per la qualità, cioè, se sono venuti buoni. Così è anche della parola di Dio, fonte di rivelazione e di vita. Essa può sembrare episodica, come la pioggia e la neve, e quindi non porta subito i segni della sua fecondità, non si vedono subito i frutti, ma ci sono e ci saranno. Pensate che si racconta che sant’Antonio, che noi festeggiamo il 17 gennaio, era sempre andato a messa e aveva sempre ascoltato bene e con attenzione la parola di Dio. Ma, un giorno, dopo la morte dei Genitori ed essere rimasto da solo con la Sorella, entra in Chiesa e sente il passo del Vangelo di Matteo, dove il Signore dice a quel ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli”. Torna a casa e dona agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditata dalla sua famiglia, erano tante perché era una famiglia benestante. Poi, un altro giorno va ancora a Messa e sente le parole di Gesù: “Non angustiatevi per il domani”. Antonio non ce la fa più e dona anche ciò che gli è ancora rimasto, affida la Sorella alle vergini consacrate e, nei pressi della sua casa, lui si dedica a una vita eremitica, di solitudine, silenzio e preghiera. In questo tempo di pandemia è nata dal mio cuore una preghiera ai Santi Patroni delle Chiese del mio paese, e quella rivolta a Sant’Antonio abate dice così: “Caro Sant’Antonio, tu che, dopo la morte dei tuoi Genitori, hai scelto una vita di silenzio e preghiera, stai accanto, in particolare, a chi è Anziano e Solo e fa’ riscoprire a tutti l’amore per la preghiera e la parola di Dio”. Sì, l’amore per la parola di Dio.
In questa settimana che è trascorsa mi sono reso conto che il Signore ci chiedeva di pensare, soprattutto, a come utilizziamo il nostro corpo. Dopo aver celebrato, nello scorso mese di giugno, la solennità del Sacro Cuore di Gesù e la memoria del Cuore Immacolato di Maria, domenica ci ha invitati ad andare sempre da Lui e ad imparare da Lui, che è mite e umile di cuore. Lunedì 6 luglio, memoria facoltativa, ma per noi delle Marche, importantissima, della vergine e martire Santa Maria Goretti. Il Vangelo del giorno parlava di due guarigioni: la figlia del capo della sinagoga e la donna che aveva perdite di sangue da dodici anni. Guardate che meraviglia! In tutti e due i miracoli si parla di un’altra parte del nostro corpo: le mani. La donna emorroissa tocca con la mano il lembo del mantello di Gesù, perché crede che basterà semplicemente toccarlo per essere guarita. E sarà proprio Gesù a dirle: “Donna, la tua fede ti ha salvata”. Gesù prenderà per mano la figlia del capo della sinagoga e la presenterà non più morta, ma viva. Come non guardare Santa Maria Goretti che, aiutandosi con la sua mano e il suo braccio, lo ammiriamo benissimo nella statua che è posta sotto l’altare del Santuario di Corinaldo, suo paese natale, cerca di difendersi da Alessandro Serenelli che, con la sua mano impugna un coltello per ucciderla, così da non macchiare la sua purezza. Alessandro Serenelli, dopo essere stato perdonato da Maria e aver tenuto una buona condotta nel carcere di dove era detenuto, utilizzerà nuovamente le sue mani, ma questa volta per il bene, per servire i frati del convento di Macerata dov’è morto.
Il giorno dopo, martedì 7 luglio, il Vangelo ci parlava di un uomo muto. E oggi ci viene presentata la Parola di Dio. La Comunità Cenacolo, in particolare, ci insegna che possiamo essere muti anche noi, anche se abbiamo la lingua che funziona bene. Muti, perché non viviamo la gioia di condividere nelle nostre famiglia, nelle nostre comunità, a scuola, nei nostri ambienti di lavoro.